Bunet (o bonet). Un giorno al Salone del Gusto e un omaggio al Piemonte

Bunet

Oggi a casa Chiaramella prepariamo il bunet (o bonet) piemontese.

Ma attenzione! Avviso ai naviganti. Fatta salva la ricetta, tutto quello che racconterò non vuole essere un reportage. O quantomeno non vuole essere uno di quei resoconti dettagliatissimi in cui qualcuno eccelle ma che proprio io non sono capace di fare. Il motivo di base è che, quando li leggo io, purtroppo la maggior parte delle volte mi annoio da morire. Figuriamoci a scriverli. Motivo prettamente egoistico, dunque. Ma anche no, visto che il mio intento è anche privarvi di un sonnolento racconto e quindi è un intento generoso.

Forse però dovrei fare le dovute distinzioni. Mi spiego meglio: se sono ancora in tempo per partecipare all’evento di cui si parla, ben venga il reportage con tanto di consigli su dove andare e su cosa vale la pena di vedere. In questo modo ottimizzo i tempi e tacito l’ansia congenita che mi prende quando devo fare qualcosa che non ho mai fatto, anche se è una cosa piacevole. Diverso è il caso del reportage – per così dire – “postumo”, nel senso quando l’evento si è già concluso, come in questo caso. Il Salone del Gusto si è concluso lunedì 26 settembre. Ritengo abbia più senso al massimo esprimere una opinione soggettiva in generale sull’evento che non raccontarvi, pretendendo magari di essere oggettiva, di quanto era eccellente il formaggio prodotto da “Peppino ‘o zozzone” (ovviamente il nome me lo sono inventato…voglio scherzare un po’) con il latte di pecora invecchiata cinquant’anni, che mangia l’erba fresca del monte Pinco Pallo, e che voi potrete assaggiare (il formaggio, non la pecora) eventualmente solo tra due anni e sempre se Peppino ‘o zozzone deciderà di andare di nuovo al Salone del Gusto.

 

Premessa necessaria è che al Salone del Gusto ci ero già stata due anni fa e mi era piaciuto moltissimo. Non so, però, se in questo caso vale il detto per cui “le minestre riscaldate non vanno mai bene” e quindi l’emozione di oggi non può essere quella di due anni fa. Sta di fatto che quest’anno – purtroppo – alcune cose sono cambiate. Tenete sempre presente che quelle di seguito sono le mie opinioni in base alla mia persona e alle mie esigenze, quelle cioè di una visitatrice del Salone, con una forte passione per il settore del cibo, con tanta voglia di vedere tutto il possibile e poco tempo a disposizione.

Come vi dicevo, alcune cose sono cambiate. Mi limiterò ai due cambiamenti che mi hanno colpita di più. Per primo la location,  che per me non è stata affatto vantaggiosa. Io avevo un solo giorno a disposizione. Due anni fa, in un giorno solo, sono riuscita a visitare quasi tutti i padiglioni, ho fatto una visita tematica organizzata con gli studenti della facoltà di Scienze Gastronomiche e sono riuscita a rimpinzarmi tre volte nella sezione dello street food. Quest’anno, sì e no, sono riuscita a visitare gli stand degli espositori al Parco del Valentino e neanche li ho visti tutti perchè erano dislocati in maniera alquanto disordinata. Nelle altre parti della città proprio non sono riuscita ad arrivare, perché non avevo tempo a sufficienza. Senza contare che il Parco del Valentino chiudeva alle 19:30 (i padiglioni del Lingotto chiudevano alle 22:30). Conclusione: troppo dispersiva e con orari limitati. Andare in un giorno non si può. Ed è un peccato, perché al Lingotto questo si riusciva a fare.

Altro aspetto è quello della eliminazione del biglietto di ingresso. A prima botta uno dice: wow! che bello! Ma poi, a ben vedere non è proprio così. Penso che nelle cose che si fanno è necessario sempre avere di vista un obiettivo finale, per quanto sfocato. Se in questo caso l’obiettivo era passare da Fiera di settore a Sagra di paese, credo sia stato raggiunto. Ma davvero qualcuno crede che il visitatore occasionale attratto solo dalla degustazione gratuita e che non distingue un pecorino da un parmigiano (non per cattiveria ma solo perché il cibo non gli interessa più di tanto o non ha un palato allenato o per altri mille motivi), comprerà da ora in poi il formaggio del nostro “Peppino ‘o zozzone”, che peraltro viene venduto al modico prezzo di, faccio per dire, 50 euro al chilo? O  che quantomeno ne decanterà il meraviglioso sapore? Mah…io dubito. E’ più probabile che commenterà “Mamma mia quanto costa sto formaggio! E quanto è caro! E non è neanche tanto buono!”. E qui si leveranno gli scudi dei difensori dell’uguaglianza tra popoli a dire che non è giusto, che sono cattiva, che tutto deve essere aperto a tutti ecc. ecc. Sarà pur vero, ma  del resto perché scaldarsi tanto? Esistono le sagre di paese e le fiere di settore. Perchè dobbiamo mettere tutto sullo stesso piano!? Rimango perplessa…

Se pensate che sia stata troppo dura e che mi sia trasformata improvvisamente in Crudelia Demon, considerate che su alcune cose anche qualcuno più titolato di me la pensa così  (leggete qui).

 

E dopo questo fiume di parole un tantino forti, veniamo al bello di questa manifestazione. Perchè comunque, sia ben chiaro, io amo questa manifestazione. Quindi il bello c’è sempre… Anni fa non si poteva minimamente pensare che un tale evento avrebbe mai visto la luce. Il cibo era relegato al rango di “argomento per conversazione da bar” (un pochetto in Italia è ancora così ma un tantino ci si è evoluti). Oggi esiste un posto dove il cibo ha dignità, se ne parla, lo si apprezza. E questo è bellissimo. Per tutti gli appassionati di cibo e cucina e per chi è in grado di riconoscerne il valore. Ho potuto assaggiare prodotti buonissimi (prima galleria di foto) e vedere personaggi assai curiosi (seconda galleria di foto). Ho soddisfatto la mia parte “gossip” vedendo personaggi conosciuti nel mondo del food come Peppe Zullo, Monica Bianchessi e Marcello Ferrarini e (due anni fa) persino Jamie Oliver (terza galleria). Ho visto in azione attrezzature assai interessanti e ricevuto in regalo qualche gadget di non poco conto (tipo corsi di cucina on line). Ho potuto vedere come altre foodblogger sono riuscite ad trovare un loro riscontro (ho intravisto Erika Cartabia de “La tana del coniglio” fare una dimostrazione allo stand della Sapori) e ho potuto sognare un pochino pure io. Potermi immergere per un giorno intero nella mia passione ha per me un valore enorme.

Perciò, in conclusione, che dire? Sull’organizzazione si può discutere, ma l’essenza della manifestazione continua a suscitare in me una forte emozione. E che cos’è il cibo, se non emozione, ricordo, vita vissuta? Perciò il mio obiettivo può dirsi realizzato. Per questo oggi, in omaggio a Torino e al Piemonte dove è nata e si svolge questa manifestazione, ho deciso di preparare un classico della cucina piemontese: il bunet (o bonet), che è un budino a base di cacao e amaretti. Io me ne sono innamorata anni fa e perciò lo trovo adattissimo per festeggiare la mia passione per il cibo e il Salone del Gusto che, in un certo senso, mi aiuta a coltivarla con ancora più energia. Mi raccomando: bunet  non è francese, ma piemontese e perciò si pronuncia così come è scritto. Perciò: evviva il Salone del Gusto e festeggiamo con una bella fetta di  bunet.

Bunet (o bonet)

INGREDIENTI:

  • 200 g di amaretti
  • 200 g di zucchero (per la crema)
  • 30 g di cacao amaro
  • 5 uova
  • 1 tuorlo
  • 3/4 di litro di latte intero
  • 200 g di zucchero (per il caramello)
  • 1 cucchiaio di acqua

…………………………

COME SI FA:

  1. Frullate gli amaretti e aggiungete il cacao. Mescolate il tutto con una spatola.
  2. Amalgamate 200 grammi di zucchero con le uova e il tuorlo aiutandovi con una frusta elettrica o con una frusta a mano.
  3. Amalgamate gli ingredienti secchi con il composto di uova e zucchero, continuando a mescolare con la frusta.
  4. Mettete il latte in una terrina e riscaldatelo a fuoco basso. Quando sarà quasi vicino al bollore, aggiungetelo al composto e continuate a mescolare.
  5. Preparate il caramello. Mettete in una terrina i primi 100 grammi di zucchero e l’acqua. Mettete la terrina sul fuoco. Non mescolate lo zucchero finché non si sarà sciolto. Solo allora aggiungete gli altri 100 grammi. Quando sarà diventato di un bel corore brunito porete toglierlo dal fuoco. Trasferite il caramello in uno stampo da budino o da plumcake facendo in modo che aderisca a tutte le pareti. Versate quindi la crema nella stampo.
  6. Prendete una teglia da forno. Riempitela di acqua fino a due centimetri dal bordo. Mettete lo stampo da budino al suo interno. Versate il composto nello stampo. Considerate che gli ingredienti che ho indicato vanno benissimo se decidete di usare uno stampo da plumcake. Qualora, come me, vogliate usare uno stampo più piccolo, tenete a portata di mano un altro stampo o degli stampini monoporzione. Sistemate un foglio di stagnola sullo stampo praticandovi uno o due buchi al centro. Nel mio caso, avendo uno stampo “a ciambella”, li ho praticati sui due lati.
  7. Cuocete nel forno a 180 gradi per circa 45 minuti o comunque finché il bunet non si sarà indurito. Ve ne accorgerete semplicemente con la prova dello stuzzicadenti, il quale, una volta infilato nel dolce, dovrà uscire ben asciutto.
  8. Fate raffreddare qualche minuto e, appena potete maneggiare lo stampo, procedete a sformare il dolce. Questo perché, se il dolce si raffredda troppo, il caramello potrebbe rimanere attaccato allo stampo. Mettete quindi il bunet a riposare in frigo per almeno un’ora. In questo modo si assesterà nella sua forma e sarà esteticamente più bello.

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